CAMPUS: Gli occhi a fessura

Molto spesso non è semplice riprodurre in una fotografia ciò che percepiamo con lo sguardo. Questo avviene specialmente quando la scena ha forti contrasti e grandi dislivelli di luce. L’esempio più immediato è il tramonto. Lo vediamo così potente e spettacolare, ma nelle nostre immagini non riusciamo a rendere e a condividerne la meraviglia. Sembra che la fotografia non riesca ad abbracciare il tutto, ma che debba scegliere se raccontare il rosso bruciante del cielo o la vegetazione sottostante.

Il motivo è molto semplice.

Lo sguardo non è un apparecchio fotografico. Il meccanismo di visione attraverso i nostri occhi è meraviglioso e complesso, ma non è una singola immagine. Scattiamo davanti alla scena innumerevoli fotografie e le mandiamo al cervello che ci restituisce una visione unitaria del soggetto. Il cervello miscela densità diverse, compensa e pulisce esposizioni opposte tra loro e temperature del colore tanto diverse.

La pellicola o il sensore delle nostre fotocamere non può fare questo e da qui la nostra delusione. In questi casi c’è un sistema infallibile per capire in anticipo se ci troviamo di fronte a una situazione difficilmente riproducibile, in termini tecnici una situazione “fuori dalla gamma di riproducibilità”. Basta strizzare gli occhi  a fessura e dopo alcuni secondi la realtà ci appare simile a quella che possiamo riprodurre in una fotografia. Gli scuri diventeranno illeggibili zone d’ombra e al massimo potremo distinguere le silhouette delle cose e delle persone. Le parti luminose rimarranno evidenti e intensamente colorate.

Questo antico espediente ci salverà dalle delusioni di una foto non riuscita, oppure ci indurrà ad apportare qualche rimedio tecnico perchè si riesca a portare a casa quella difficile ripresa. Ma cosa possiamo fare in queste situazioni?

Quando la fotografia era solo pellicola i rimedi erano pochi. Da un lato la scelta della giusta emulsione fotografica aiutava, dato che le pellicole possono essere più o meno morbide o contrastate e con più o meno capacità di riproduzione della gamma del visibile. In certi casi si può compensare con un colpo di flash le zone più scure del soggetto, esponendo sulle alte luci e riempiendo le ombre con la luce artificiale. Venivano molto usati dei filtri cromogeni che si comportavano come certi occhiali da sole o certi cristalli graduati che si usavano nelle autovetture. La funzione era quella di togliere gradatamente luce alla metà superiore dell’immagine. Addirittura si poteva scegliere se farlo in modo neutro o dando anche colorazione alla scena poichè esistevano filtri cromogeni con dominanti calde o fredde. L’effetto era spesso un po’ pacchiano e artefatto, ma usati bene i filtri risolvevano molte situazioni.

Con il digitale si è arricchito il ventaglio delle possibilità di intervento in queste situazioni. Ora anche gli smartphone offrono la possibilità di usare il cosidetto HDR. Che cosa significa questa sigla? Il termine HDR è l’acronimo di High Dynamic Range e consente di visualizzare una gamma più ricca di colori, bianchi più luminosi e neri molto profondi. In sostanza mentre scattiamo il nostro apparecchio realizza più immagini con esposizioni differenti e automaticamente le miscela in base a un algoritmo di compensazione. Non sbagliamo nel dire che il filtro che imitava gli occhiali da sole sfumati era il papà dell’HDR.

Per i più evoluti e pazienti vi posso consigliare un’ulteriore soluzione, che magari ha il vantaggio di apparire meno smaccata e plateale. Usando un cavalletto, realizzate tre immagini esposte per i diversi toni: i chiari, i medi e gli scuri. Poi a casa con i vostri programmi di editing miscelate a mano i livelli che avete creato. Avete fatto il vostro personale HDR.

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CAMPUS: Tempi & Diaframmi

Potremmo considerare questa la prima lezione. Partiamo da appunti dedicati a chi ha scarse conoscenze della materia. Questo non esclude il fatto che un po’ di ripasso possa essere utile a tutti quanti.

La corretta esposizione e la profondità di campo

Si tratta di trovare il giusto dosaggio della luce che va a impressionare la pellicola, nel caso di una macchina fotografica analogica, oppure un sensore, nel caso di una camera digitale.  Questa sensibilità che si misura in ISO.

  • Il giusto dosaggio è dato dal rapporto esistente tra il diaframma e il tempo di apertura dell’otturatore.

Ovviamente, più il diaframma è aperto e più luce passa da questa apertura.
Al contrario, più il diaframma è chiuso meno luce passerà.  Per compensare, i tempi di otturazione dovranno perciò essere più lunghi.

  • Ad ogni chiusura di diaframma deve corrispondere il raddoppio della durata dei tempi di scatto.
  • Viceversa, un’apertura di diaframma permette di dimezzare il tempo.

 

diaframmi

Questa regola basilare è il fondamento numero uno dell’intervento creativo nel realizzare una immagine.
Perché ha a che fare con la profondità di campo che altro non è che la porzione di spazio a fuoco all’interno della composizione.

  • Se voglio ritrarre una soggetto astraendolo dallo sfondo, che desidero sfuocato il più possibile, userò un diaframma molto aperto.

Specialmente con le focali più lunghe, questo mi restituirà la massima attenzione sul soggetto e uno sfondo indefinito fatto di toni sfumati e oggetti irriconoscibili. Al contrario

  • se desidero la massima nitidezza su tutta l’inquadratura sceglierò un diaframma molto chiuso.

Ora vi beccate l’esempio del buco della serratura. Di solito lo racconto ai bimbi, ma è molto utile a tutti, credetemi.

Chiudete gli occhi e immaginate. Siete in una stanza buia. C’è di fronte a voi una porta con il foro della serratura molto, molto stretto.
Da quello passa un filo di luce, sì proprio un filo quasi una retta. I punti di fuoco si incontrano sulla retta e procedono per lunghi tratti insieme.

  • Questo è il diaframma più chiuso, che crea grande profondità di campo, cioè una grande porzione di immagine a fuoco.

Immaginate ora un foro della serratura grandissimo. Da quello entra tantissima luce nella nostra stanza buia. I punti di fuoco si incontrano e presto si divaricano.

  • Questo è il diaframma più aperto, che ha un punto a fuoco e il resto sfuocato.

Conclusione: l’immagine perfetta nasce dal giusto dosaggio della luce e dalla scelta di regia per quello che riguarda la profondità di campo (fuoco e sfocatura).

Se lo volete decidere voi tutto ciò, dovrete lavorerete in manuale. Ma, se preferite, ci sono automatismi che hanno implementato questa ed altre regole.