Notte a Yazd

Come ormai sapete, noi siamo innamorati dell’Iran, accogliente e immenso paese che presenta realtà geografiche diversissime: da cime imponenti che superano i cinquemila alle umide isole del Golfo Persico, da aridissimi deserti a zone lussureggianti attraversate da  torrenti impetuosi, da millenari siti archeologici alle sperimentali architetture urbane, ecc. ecc.

Ma Yazd, l’antichissima Yazd, città di oltre tremila anni, posta nell’esatto centro dell’Iran, Patrimonio Unesco dal 2017 per i suoi muri in adobe* e le sue torri del vento*, ci ha letteralmente stregato.

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Tutto il centro storico è da visitare, tra i suoi vicoli curvilinei interrotti da sorprendenti sottopassaggi, con le moschee, le vie del bazaar con i laboratori di artigianato, le dimore storiche sormontate da terrazze sui tetti.

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La magia più forte, letteralmente irresistibile, proviene dalla Yazd notturna, le cui luci, da quelle tenui del tramonto a quelle che illuminano la notte, trasformano i colori, senza alcun bisogno di filtri né per la macchina fotografica, né per la nostra mente.

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Magiche le luci del tramonto e anche quelle che rischiarano un poco il buio più profondo. Le luci che illuminano gentilmente le botteghe, quelle che escono dai panifici aperti fino a tardi.

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Le luci che avvolgono discrete gli avventori dei caffè sulle terrazze, che lasciano evidenziare quelle più intense che illuminano moschee e minareti.

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Per chi volesse approfondire

*Adobe è una parola antichissima, che risale probabilmente alla civiltà egizia e indica un materiale da costruzione particolare, molto economico. I mattoni in adobe nascono da argilla, sabbia e paglia seccata al sole, impastate con l’acqua. L’adobe ha un’importante caratteristica termica:  mantiene il calore durante l’inverno e lo rilascia in estate, con una temperatura piacevole e costante in tutte le stagioni. La pioggia può scioglierlo e per questo è tipico dei climi aridi e, in ogni caso, necessita di una continua manutenzione. La bellezza dell’adobe è data dalla sua consistenza porosa e dal suo colore, che muta in diversi toni caldi a seconda delle ore della giornata. Era costruita in adobe Çatalhöyük, in Anatolia, la più antica città a oggi conosciuta. Questo materiale da costruzione era molto diffuso anche in tutto il Mediterraneo: in Sardegna è chiamato ladiri.

*Le Torri del Vento (windcatcher in inglese, badghir in farsi) sono una soluzione architettonica naturale per permettere la refrigerazione degli ambienti interni.  Funzionano portando all’esterno l’aria calda durante il giorno, e immettendo aria fresca durante la notte. Il flusso d’aria avviene a causa della differenza di pressione tra la zona della torre dove soffia il vento e la zona sottovento. In assenza di vento, il flusso è determinato dall’aria calda che si trova a ridosso della parete sud della torre e che, scaldata dal sole, tende a salire. L’uso di cisterne d’acqua sotterranee contribuisce a umidificare e raffreddare ulteriormente l’aria.

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Nel blog altri articoli sull’Iran: si parla della città di Tehran, dei suoi caffè, di una moderna opera architettonica della capitale, dei virtuosi del parkour.

Qui invece una riflessione sulla situazione politica attuale.

Shanghai in 3 giorni, una piacevole sorpresa

Ed eccomi finalmente a Shanghai, dove ho raggiunto mio marito che si trova lì per lavoro. La città mi incuriosiva da tempo, ma confesso che un po’ mi spaventava, perché mi aspettavo una megalopoli super inquinata e abbastanza ostile. Invece (e qui vado subito con lo spoiler) mi ha piacevolmente sorpreso. Ho trovato infatti una città molto vivibile, con tanto verde, dove tutto funziona e le persone sono estremamente gentili.

Ho sottovalutato però lo scoglio della lingua, che è effettivamente enorme. Quasi nessuno parla inglese, e anche viaggiare in taxi risulta difficile, poiché i tassisti comprendono soltanto gli indirizzi indicati in caratteri cinesi. Perciò, è senz’altro molto utile scaricare una app apposita. Inoltre, prima di partire per la Cina è importante scaricare una VPN per aggirare il blocco di Internet cinese. Ci sono tanti siti che forniscono tutte queste informazioni pratiche; uno molto chiaro lo trovate a questo link.

La rete dei trasporti

Sono arrivata dall’aeroporto di Pudong al mio hotel con la comodissima metropolitana, linea 2, e poi ho percorso l’ultimo tratto in taxi. La metro di Shanghai è fantastica: ho frequentato tante metropolitane nei miei viaggi, ma questa è senza dubbio la migliore che mi sia capitato di incontrare, a cominciare dalla efficientissima biglietteria automatica con mappa incorporata.

metropolitana

 

I treni sono larghi e lunghissimi, le stazioni grandi e molto organizzate, non si creano intoppi, le fermate sono ben segnate e annunciate anche in inglese. C’è vigilanza, ma discreta e, particolare importante, in ogni stazione ci sono i bagni, pulitissimi. La rete dà veramente l’idea di quanto grande e popolosa sia questa città. Con il mio pass da 3 giorni l’ho percorsa felicemente in lungo e in largo.

bicicletta e graffiti a Shanghai

Già in taxi dall’aeroporto ho notato che i grandi viali a scorrimento veloce sono sempre costeggiati da controviali per ciclisti o pedoni, spesso con aiuole e corsie dedicate moto elettriche. I motorini elettrici sono fantastici, non si sentono. Pensando all’incredibile frastuono e puzza che producono, ad esempio, a Delhi o a Bangkok, capisco quanto possano migliorare la qualità della vita di una città. Inoltre, Shanghai è ricca di angoli verdi, e in tutta la città si trovano parchi e giardini.

motorino elettrico

I quartieri popolari

Il nostro hotel era in una zona molto popolare, un po’ in periferia, a sud est della città, lungo una strada commerciale dove si susseguono una dopo l’altro mille attività: ristoranti, parrucchieri, ferramenta. E’ stata un’ottima scelta perché ci ha permesso di scoprire la Shanghai più vera.

Intorno al quartiere si innalzano grandi palazzi di edilizia popolare,  alti casermoni tutti uguali. In una piazzetta tra le case verso sera c’è della musica e la gente balla in coppia: tante donne tra loro, ma anche diversi uomini con la propria compagna, mentre i passanti guardano seduti sul muretto. E’ stato bellissimo starli a osservare: i cinesi appaiono persone serene e allegre, a cui piace divertirsi anche con poco.

La città vecchia

Il giro per la città è iniziato con la visita alla vecchia città cinese, con il famoso Giardino del Mandarino Yu, il bazar che lo circonda e le case tradizionali.

Il Giardino di Yu non è un vero e proprio parco, ma più un giardino museo. Bellissimo, anche se forse troppo popolato di visitatori. E’ il classico giardino orientale come ce lo immaginiamo, con ponticelli, laghetti e salici. La casa da tè situata in mezzo al lago è da provare, una vera esperienza. Ero sola, e mi sono accomodata a un minuscolo tavolino davanti alla finestra. Una cameriera gentilisima mi ha portato un ottimo tè servito, come usano in Cina, in una piccola ciotola accompagnato da mini uova sode e da un involtino di riso, ottimi.

sala da té a Shanghai

La zona in cui si trova il giardino è una specie di mercato con varie boutique artigianali, un centro commerciale all’aperto inserito però in costruzioni caratteristiche, d’epoca, piacevole da girare e ricco di ottime botteghe di street food tradizionale cinese.

città antica di Shanghai

via commerciale in notturna, Shanghai

A questa zona di Shanghai dà il nome il Tempio del dio della città: qui gli dei hanno un aspetto severo, direi quasi arcigno, molto diverso, per esempio, dagli dei tailandesi. Ma nel Tempio ho potuto assistere a scene di sincera devozione: sono soprattutto giovani donne che, reggendo due bastoncini di incenso all’altezza della fronte, si prostrano tre volte davanti agli dei, imitate dai loro bambini.

tempio del dio di città a Shanghai

La visita alla città vecchia è stata molto interessante: mi sono addentrata in un dedalo di viuzze attraversate da fili con panni stesi, sulle quali si aprono cortili pieni di biciclette  e circondati da basse case grigie. Dopo essermi quasi persa sono andata a rilassarmi nel Tempio di Confucio, severa oasi di pace, anche se non particolarmente interessante.

La città moderna

Il secondo giorno siamo stati al Bund, la zona più famosa di Shanghai: merita davvero, questo largo lungofiume con vista mozzafiato sui modernissimi grattacieli di Pudong. È bello passeggiare guardando le chiatte sul fiume e soprattutto la gente. Era domenica, abbiamo visto tante coppie nel giorno del loro matrimonio, e bellissime spose vestite di bianco o di rosso, che si facevano fotografare davanti allo skyline.

 

Sposa fotografata al Bund, a Shanghai

Una grande arteria commerciale, Nanjing Road, piena di gente e negozi collega il Bund con la Piazza del Popolo. Questa piazza è molto vasta, ma non ha particolari attrattive. La cosa più piacevole della giornata – era domenica – è stata la passeggiata al parco di Piazza del Popolo, molto rilassante come in tutti i parchi della città. Una curiosità, la miriade di ombrelli aperti con appuntato un biglietto con alcune frasi in cinese e un numero. Nel parco si svolge infatti una specie di ‘mercato dei matrimoni‘, dove i genitori che hanno figli da sposare ne preparano una breve descrizione, completa di numero di telefono, e posizionano gli ombrelli in bella vista, nella speranza di suscitare l’interesse di altri genitori…

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Non ho avuto modo di commentare questa tradizione con qualche abitante della città, ma ho letto che non funziona molto: per fortuna, anche i ragazzi di Shanghai ormai hanno molte altre strade per incontrarsi, piacersi e forse, infine, sposarsi!

Altri quartieri

Tre giorni sono davvero pochi per visitare una città che ha oltre 25 milioni di abitanti. Ma, grazie ai consigli della nostra guida (davvero molto ben fatta), abbiamo attraversato in diversi quartieri interessanti. La passeggiata nell’area attorno all’università, un reticolo di strade alberate, dall’atmosfera molto inglese, ci è piaciuta particolarmente.

Nella zona Ovest c’è la zona della ex concessione francese. Xintiandi  è un quartiere gradevole, pedonale, con strade alberate e molti bei negozi e ristoranti. È formato da belle case tradizionali in pietra, una delle ultime aree della città in stile architettonico cinese (shikumen).

Nel quartiere di Jinh’an, che prende il nome del Tempio Jinh’an, uno dei principali della città, gli stridenti contrasti di Shanghai sono particolarmente evidenti. Il tempio buddhista, costruito originariamente nel II secolo a.C. e ricostruito in epoca medievale, durante la Rivoluzione Culturale fu trasformato in una fabbrica di plastica, per poi tornare ad essere luogo di culto negli anni Ottanta del secolo scorso. Oggi è situato al centro di un’area commerciale lussuosa e circondato da modernissimi grattacieli.

tempio Jing'an tra i grattacieli

E per finire questa visita rapidissima a una delle metropoli più vaste del pianeta, una cosa buona e una cosa bella.

Buonissimi i ravioli al vapore, da mangiare con la salsa di soia, di cui Shanghai va giustamente famosa. Molti di essi sono a base di polpa di granchio, vera specialità della città.

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Poi, bellissimi i bambini (sono pronta per diventare nonna?), che ti guardano curiosi in metropolitana con le loro guance paffute.

metropolitana di Shanghai

I miei consigli di letture

A chi pensa di visitare Shanghai consiglio vivamente uno dei romanzi gialli di Qiu Xialong.  Ne sono stati tradotti in italiano una decina, pubblicati da Marsilio. Il primo è La misteriosa morte della compagna Guan, leggendo il quale sono rimasta affascinata dal romantico ispettore poeta Chen Cao. Nel libro si respira un’atmosfera particolare, in cui si percepisce chiaramente l’oppressione del regime: sono gli anni della strage di piazza Tienanmen.

Ecco una citazione dal libro, in cui accenna alla città:

Shanghai era veramente una città piena di magnifiche sorprese, nel prosperoso centro così come nelle piccole stradine. Era una città nella quale la gente da qualsiasi sfera sociale provenisse poteva trovare qualcosa di piacevole, persino in questi posti dall’aspetto così sciatto ed economico.

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Ma ognuno di questi romanzi offre un punto di vista particolare sulla città e sugli anni recenti della storia e della società cinese, in sempre più veloce evoluzione. Shanghai redemption, tradotto in Italia come Il poliziotto di Shanghai, è l’ultimo libro pubblicato, ma nel sito dello scrittore potete trovare tutti i titoli.

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Alcune foto sono mie, Elena Del Comune, altre di Silvia Levenson e di Terri Grant.

 

 

 

Quattro amiche in Armenia

Adriana, Rosaria, Claudia e io, amiche da più di trent’anni. Una deliziosa serata a casa mia con una pianista classica conosciuta alla Casa Armena di Milano, Ani Martirosyan, e, tra una chiacchiera e l’altra, le quattro amiche si fanno trascinare in un vortice di curiosità per l’Armenia.

E la curiosità porta al desiderio di approfondire la conoscenza di questo paese dalla storia antichissima. E’ proprio in Armenia che si insedia, infatti, la prima comunità cristiana al mondo, nel I secolo d.C., grazie a due dei dodici apostoli, Taddeo e Bartolomeo. Ani ci aiuta in questo. Dalle sue parole traspare un fortissimo senso di appartenenza, una solida fierezza nel riconoscersi come popolo.

Dai suoi racconti emerge chiara una similitudine con il popolo ebraico. Gli Armeni, da sempre, hanno subito invasioni, con conseguenti diaspore in giro per il mondo. Per ricostruire una propria identità hanno creato piccole comunità sparse per il pianeta, che però hanno conservato un’unica cultura fondata su due elementi.

Uno è la religione: già nei primi secoli la Chiesa armena si separò dalla Chiesa cattolica, acquistando caratteri propri e originali. Il secondo è la lingua sia parlata sia scritta: la ricchezza dei manoscritti medievali è tale che si trovano libri in armeno nelle biblioteche delle più diverse parti del mondo.

Date queste premesse, come non far nascere alle quattro amiche il progetto di un viaggio in Armenia?

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Come abbiamo viaggiato

Prima della partenza, io e Adriana abbiamo fatto un’accurata selezione su Airbnb per cercare casa. Quella di una casa come punto di riferimento è una soluzione interessante, perché l’Armenia è un paese relativamente piccolo, con una superficie pari a Piemonte e Valle d’Aosta messi insieme. Quindi cercare due o tre basi in punti strategici può essere logisticamente risolutivo.

Per i trasporti, Ani ci ha suggerito il numero di un autista. Riservato e in apparenza burbero,  Vacik si è rivelato un aiuto prezioso, una persona seria, professionale ed estremamente disponibile. In realtà è un perfetto uomo armeno. Come la maggioranza degli Armeni che abbiamo incontrato, il primo contatto è stato di estrema riservatezza, che sembrava coprire un fondo di tristezza. Vacik, come altri, ha avuto bisogno di un po’ di tempo per mostrare la sua calda ospitalità, e una tranquilla disponibilità ad aiutare.

In genere amo utilizzare i mezzi pubblici, ma abbiamo avuto ragione a scegliere questa soluzione, dato il poco tempo a disposizione (siamo rimaste in Armenia 13 giorni) e la posizione spesso arroccata dei tanti monasteri visitati. Un’auto grande e confortevole permette di macinare chilometri senza problemi. In più si ha la possibilitá di modificare facilmente l’itinerario, facendo soste della frequenza e della durata che si desidera, senza alcuna imposizione.  Il costo dell’auto per l’intero periodo è stato di 150 euro a testa. Conveniente, quindi, direi.

C’è anche la soluzione dei marshrutke, pullmini locali, di solito molto affollati e piuttosto scassati, retaggio dell’epoca sovietica. Rappresentano una proposta di car-sharing davvero poco costosa, ma che, noi signore di una certa età un po’ pigre, abbiamo deciso di scartare. in ogni caso, le camminate a piedi e i mezzi pubblici li abbiamo riservate per le visite alle città; tra l’altro la metropolitana di Yerevan è comodissima!

I monasteri e le chiese

I bellissimi monasteri sono senza dubbio la caratteristica più significativa del paesaggio armeno. Ricchi di storia, custodi dell’identità religiosa e culturale dell’Armenia, incutono rispetto ed emanano un profondo senso di sacralità.

in preghiera

Sono numerosissimi, sempre incastonati in paesaggi mozzafiato: sul ciglio di un profondo canyon, oppure arroccati su aspre montagne, a volte ancora scavati nella roccia. È proprio attorno ad alcuni di questi meravigliosi monasteri che in epoca medievale sono nate le maggiori università, importanti centri di propagazione culturale.

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Non mi dilungo a descrivere ogni monastero. Ne ho scelti tre tra quelli visitati: non  sono necessariamente quelli più importanti dal punto di vista storico o architettonico, ma  quelli dove ho vissuto emozioni più forti. In fondo troverete l’elenco di tutti i luoghi che abbiamo visitato e alcuni suggerimenti bibliografici per potervi orientare nella scelta. In ogni modo, suggerisco che durante il viaggio vi lasciate trasportare dal fascino dei luoghi, per poi approfondire la conoscenza dei monasteri al rientro, sulla scia del ricordo fresco delle meraviglie visitate.

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Geghard

Questo è uno dei primi monasteri che abbiamo visitato. Già questo è un buon motivo per ritenerlo interessante: è come aver scoperto, in quel momento, il fascino di questo paese. Come altri monasteri, anche questo era meta di pellegrinaggio giá in epoca pre-cristiana. La gente vi si recava per poter accedere a una fonte sacra che si riteneva avesse poteri taumaturgici. Purtroppo al nostro arrivo era un po’ affollato, anche perchè si trattava di un giorno festivo.

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Il monastero di Geghard è Patrimonio dell’Unesco dal 2000. Fondato nel IV secolo da San Gregorio l’Illuminatore, capostipite della Chiesa apostolica armena, dell’impianto originario non resta ormai più nulla, perchè distrutto dagli Arabi nel IX secolo. La chiesa principale, visitabile oggi, risale al 1215. Di lì a poco la gente del vicino villaggio cominciò a creare ambienti all’interno delle grotte circostanti, rendendo il complesso monastico sempre più unico e particolare.

monastero di Geghard, Armenia

Nel corso dei secoli, intorno alle grotte dei monaci furono costruite chiese, cappelle, edifici residenziali; sorsero anche un seminario, un’accademia di musica liturgica e un rinomato Scriptorium, cioè una scuola per amanuensi. Accanto al monastero scorre un torrente e la tradizione vuole che i viandanti lascino sulle fronde degli alberi lungo le sue acque dei pezzetti di stoffa come richiesta di grazia.

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Dovunque sono visibili ancora oggi le khachar, croci scolpite a bassorilievo, tipiche dell’iconografia religiosa armena.

croceSalendo alla vecchia cappella abbiamo sentito una voce melodiosa che riempiva la grotta scavata nella pietra. L’acustica di questa chiesa è straordinaria e la fortuna ha voluto che in quel preciso momento una giovane donna decidesse di intonare un canto liturgico. La delicatezza di quel canto e la luce che entrava di taglio hanno reso la visita a Geghard decisamente emozionante.

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Saghmosavank

Di questo monastero è particolare la posizione: sorge su un prato che si tuffa in una profondissima gola scavata dal fiume Kasagh. Lungo le rive del fiume la terra è rigogliosa e ricca di frutteti (tutta l’Armenia è costellata di piantagioni di albicocchi). Sul fondo della gola corre una strada sterrata che porta dal monastero di Saghmosavank a quello di Hovhannavank, 5 km più a sud. Il sentiero si può percorrere a piedi e la passeggiata è estremamente gradevole.

Saghmosavank, Armenia

La costruzione dell’edificio risale al XIII secolo; attorno, gli estesi latifondi di pertinenza. Annessa al monastero sorgeva una biblioteca con un ricchissimo patrimonio di libri, sempre a significare che proprio questi luoghi erano nel medioevo i principali centri culturali.

Il luogo estremamente tranquillo, al momento del nostro arrivo senza visitatori,  mi ha permesso di restare in silenzio a osservare e ammirare. Più tardi, alcune persone sono arrivate ad allestire, a ridosso del monastero, un banchetto nuziale. Un’immagine decisamente felliniana.

preparativi per matrimonio

Noravank

In assoluto il più suggestivo dei luoghi religiosi. Sorge nel cuore dell’altopiano, in una regione a sud del paese, il Vayots Dzor. Lo si scorge all’improvviso percorrendo la strada lungo il fiume Darichay nella valle di Amaghu, una valle molto angusta e caratterizzata dalla presenza di rocce rossastre. Un impatto visivo fortissimo.

Anche questo monastero risale al XIII secolo. E’ presto diventato uno dei maggiori poli religiosi e culturali dell’Armenia, grazie al fatto che i monaci mantenevano stretti contatti con l’allora famosa università di Gladzor. Noravank subì saccheggi e devastazioni, ma visse anche un lungo periodo d’oro, durante il quale fu il fulcro degli avvenimenti politici del tempo, in rete con altri monasteri e centri culturali.

Monastero di Novarank, Armenia

Gli shuka, cioè i mercati

Quattro donne che viaggiano sono naturalmente, anche se pericolosamente, attratte dai mercati. Come è consuetudine un po’ ovunque nel mondo, questi magici luoghi offrono oggetti di artigianato, antiquariato o profumati prodotti della terra o della cucina, come i meravigliosi pickle o la frutta candita.

pickle

Ed è proprio qui che spesso si scoprono curiositá e si fanno incontri interessanti. A Yerevan non si può perdere il Vernissage Market. E’ un mercato aperto tutti i giorni della settimana,  ma la domenica è decisamente più ricco e vivace, quando per esempio alla mattina molti pittori espongono le loro opere.  C’è poi una vastissima proposta di strumenti musicali, in particolare il duduk, un flauto tipico che risale a 3000 anni fa, simbolo della musica tradizionale locale. I migliori  vengono costruiti con legno di albicocco.

Il Gumi Shuka invece è ciò che rimane dei vecchi mercati nella capitale. A Yerevan, infatti,  sorgono moderni supermercati ormai ovunque e quindi si sta un po’ perdendo la tradizione del mercato. Ma il Gumi resta ancora un centro di commercio molto popolare. L’impatto visivo è coloratissimo, con i banchi di dolciumi e frutta secca estremamente curati, dalle ricercate composizioni di forme e colori.

dolci al mercato, Yerevan, Armenia

I mercanti ti offrono tutte le loro specialitá, ottimi i fichi e le arance ripieni.

IMG_7729xTra i salumi: la basturma (carne secca salata aromatizzata da un impasto di spezie che la avvolge), vari tipi di salami, caviale e… inquietanti creste e zampe di gallo marinate!

IMG_7732xBanchi dove si accumulano larghe sfoglie di lavash, il tipico pane armeno, e cesti di frutta meravigliosa.

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Il monte Ararat

“Via dalla montagna sacra: ora l’Ararat sarà per noi un paese straniero”.

In questo modo gli Armeni  di tutto il mondo, là dove la diaspora successiva al genocidio del 1915 li aveva portati, piansero quando, nell’ottobre del 1921, la sacra montagna armena, simbolo della loro unità di popolo, venne ceduta dai sovietici alla Turchia.  Questo resta per il popolo armeno un sogno infranto.

L’Ararat, che gli Armeni chiamano Massis, è però ancora oggi molto presente nell’immaginario nazionale. Con le sue due cime,  appare in ogni punto della città di Yerevan, come fosse la madre protettrice. Sembra di poterlo toccare, ma in realtà è lontanissimo, oltre l’invalicabile confine turco. Nessuno che porti un nome armeno può raggiungerlo.

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Verso sud

Distese incredibili, un altopiano dove viaggiando incontri piccoli villaggi sparsi e cimiteri che occupano grandi spazi e lambiscono le strade nel nulla, a indicare il vago passaggio tra la vita e la morte: un concetto che in Armenia è nelle corde del popolo e ricorre spesso nei loro racconti e nelle loro melodie.

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I villaggi che si incontrano sono abitati da pastori e le coltivazioni sono essenzialmente orti e alberi da frutta. Sulla bellissima strada che si dirige a sud ci fermiamo al passo Selim dove visitiamo uno dei caravanserragli meglio conservati, luogo di sosta lungo la Via della Seta. Verso sud incontriamo una zona di dolmen,  Zorats Karer,  chiamata anche la Stonehenge armena.

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E’ in questo tratto di viaggio che si concretizza la sensazione di essere in un paese tanto lontano  e diverso dal nostro, molto diverso dalla dolcezza del paesaggio italiano. Qui prevalgono montagne brulle che appaiono davanti a noi a perdita d’occhio, talvolta punteggiare da villaggi circondati da vitigni, orti e prati.

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La capitale

Yerevan è una città strana, molto particolare. Il regime sovietico ha lasciato numerose tracce, per esempio nei palazzoni che accolgono chi entra in auto in questa città che ospita circa un terzo degli abitanti del paese.

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L’impronta architettonica dell’ex Unione Sovietica è manifesta nella Cascata, un’imponente scalinata in pietra alla fine della quale si può godere di una spettacolare vista sulla città e, se si è fortunati con il tempo, sul monte Ararat. La monumentalità della Cascata è però attenuata dalle numerose opere di arte moderna e contemporanea che creano un vero e proprio museo all’aperto, piacevolissimo da visitare.

Cascata, imponente scalinata a Yerevan, Armenia

Ma Yerevan è anche una città che non vuole dimenticare un passato più lontano, ma sempre presente e vivo. L’emblema di questo desiderio di memoria è Tsitsernakaberd, il  mausoleo dedicato alle vittime del genocidio. Con un taxi siamo arrivate sulla spianata della collina di Dzidzernagapert (Forte delle rondini). Qui, in un bunker sotterraneo in pietra, sono esposti documenti, fotografie e video che raccontano i massacri del 1896, del 1909 e il grande genocidio del 1915 ad opera dell’esercito ottomano. Questi materiali testimoniano  il massacro di uomini, donne e bambini, di giovani e anziani, della quasi totalità degli intellettuali, delle lunghe e inesorabili marce della morte. All’esterno, in una predominanza di grigio, il verde degli alberi che sono stati regalati dai paesi che hanno riconosciuto il genocidio, sfidando i vari governi turchi.

Si percepisce però che Yerevan è anche una città proiettata verso il futuro: locali  affollati, moltissimi giovani che apprezzano i sempre più numerosi negozi di stampo occidentale, le famiglie che, oltre agli spazi pubblici come la bella piazza della Repubblica,  frequentano supermercati e centri commerciali, spesso aperti di notte, come nelle maggiori metropoli europee.

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IMG_7823xTra i tanti i musei cittadini suggerisco il Museo statale di storia armena dove, tra i molti reperti, è conservata anche una scarpa di pelle di oltre cinquemila anni, la più antica del mondo.

L’Artbridge

L’impatto con Yerevan è quindi quello di una città che sta cambiando in modo accelerato rispetto al resto del paese, ma i cui abitanti sentono forte il bisogno di mantenere legami con la storia e le tradizioni. Interessanti sono stati gli incontri, del tutto occasionali, con due persone che rappresentano un nuovo modo di interpretare le tradizioni culturali. Su suggerimento di una guida siamo andate in Abovian street, una delle vie centrali di Yerevan e abbiamo cercato il locale di Shakeh Havan, l’Artbridge.

Artbridge, Yerevan, Armenia

Shakeh è una brillante signora nata a Isfahan, in Iran, ma da genitori armeni. Ha vissuto a Boston durante il periodo dei suoi studi e qui, incoraggiata da amici, ha deciso di ritornare in Armenia per provare ad aprire un luogo di incontro e di promozione di giovani artisti del suo paese. È infatti dopo l’indipendenza dalla Russia, dopo quindi il 1991, che Shakeh decide di trasferirsi a Yerevan. Ha fondato con altri tre studenti un gruppo artistico e ha aperto con altre donne un ristorante, lì in Abovian street, con l’intento appunto di far conoscere nuovi talenti.

Artbridge, Yerevan, Armenia

Oggi il suo locale è diventato una vera e propria galleria d’arte, con mostre temporanee che durano dieci giorni e che si avvicendano, con sempre nuove opere che vengono esposte.  Nel locale si possono anche incontrare scrittori che presentano i loro libri e occasionalmente ascoltare buona musica jazz.

Con grande grazia, Shakeh ci ha anche suggerito alcuni luoghi imperdibili e poco frequentati dai normali circuiti turistici, come ad esempio le pitture rupestri sul monte Ughtassar. Si tratta di un luogo archeologico con reperti molto importanti. Sulla cima del monte omonimo si trova una vasta area di pitture rupestri risalenti al tardo periodo del ferro. Vi si puo’ accedere solo con macchine idonee e durante i mesi caldi (luglio e agosto) perchè il sito si trova a circa 3000 m di altitudine.

La Dolan Art Gallery

Non lontano dall’Artbridge, sono entrata incuriosita in un piccolo negozio di artigianato. Sorpendentemente, il retro del negozio si affaccia su di un giardino decisamente affascinante. Una scalinata porta all’ingresso di un appartamento dove da una parte sono  esposte ceramiche moderne, sculture e quadri, dall’altra si dipanano salette da pranzo arredate con mobili e oggetti raffinati, perfetta ricostruzione di un ambiente di fine Ottocento.

Dolan Art Gallery, Yerevan, Armenia

Ho cominciato a scattare foto attirata dalla cura dei particolari e dalla raffinatezza dell’appartamento. Mentre fotografavo, un elegante signore mi si è avvicinato chiedendomi se avevo bisogno di spiegazioni e mi ha invitato a bere un caffè per fare due chiacchiere. David, questo il nome del proprietario della Dolan Art Gallery, mi ha raccontato che da una decina di anni ha affittato l’intero palazzo con l’idea di utilizzarlo per accogliere artisti e creare un luogo di cultura e ristorazione.

Dolan Art Gallery, Yerevan, Armenia

Il progetto di rivalutare uno spazio di grande fascino (che nel secolo scorso aveva subito varie trasformazioni, prima scuola, poi sede di uffici nel regime sovietico) è stato vincente. Sono molti gli intellettuali di Yerevan che oggi frequentano il locale, il ristorante, con i tavoli nel fresco giardino.

locale david, Dolan Art Gallery, Yerevan, ArmeniaE’ un luogo piacevole e rilassante, dove chiacchierare e ascoltare buona musica. La sera stessa abbiamo prenotato la nostra cena e assistito al concerto del Lucy Khanyan Quartet, un gruppo di donne che propone sue composizioni originali e contemporanee, ma suonate con strumenti appartenenti alla tradizione musicale armena.

Postfazione – A Milano all’inaugurazione del Giardino dei Giusti

È il 6 ottobre, mi trovo all’inaugurazione del Giardino dei Giusti di tutto il mondo nel parco del Monte Stella di Milano. Ani, l’amica pianista, mi ha invitata al concerto che tiene in occasione dell’inaugurazione.

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Casualmente, mi trovo ad ascoltare la guida che si sofferma davanti al ceppo dedicato ad Armin Wegner. Armin Wegner era un ufficiale dell’esercito tedesco, scrittore e fotografo, che venne mandato in Anatolia nel 1914 a sostegno delle milizie turche. Qui si rese conto delle nefandezze del governo ottomano e decise di documentarle di nascosto. Cacciato dalla milizia turca e rimpatriato, divenne un attivista pacifista raggiungendo la notorietà come scrittore e come co-creatore del’espressionismo tedesco. Nel 1933 denunciò la persecuzione degli Ebrei in una lettera aperta ad Adolf Hitler. Da lì a poco venne arrestato dalla Gestapo, imprigionato e torturato. Venne successivamente internato in un campo di concentramento. Dopo il suo rilascio fuggì a Roma dove visse sotto pseudonimo fino alla sua morte, nel 1978. Parte delle sue ceneri sono state portate a Yerevan presso il memoriale del genocidio armeno. Viene ricordato come il solo scrittore tedesco nella Germania nazista che abbia alzato la voce contro la persecuzione degli Ebrei.

Nel Giardino dei Giusti hanno raccolto intorno a un albero diversi vasi di vetro che contengono terra armena e, in ogni vaso, è custodita un’immagine del genocidio. Ecco, queste immagini sono una delle pochissime testimonianze del massacro che i turchi hanno inferto al popolo armeno, ed è proprio Wegner che le ha scattate in Anatolia durante la persecuzione.

Gente d’Armenia

Le quattro amiche

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Ed ecco i luoghi toccati dal nostro itinerario.

  • Regione del Lori: Akhala – Aghpat – Odzun – Sanahin
  • Regione del Tavush: Goshavank – Haghartzin
  • Regione dell’Aragatzotn: Amberd fort – Hovhannavank – Saint  Gevork – Saghmosavank
  • Regione del Kotayk: Garni – Geghard
  • Regione del Gegharkunik: Hayravank – Noraduz – Sevanavank
  • Regione dell’Ararat: Khor Virap
  • Regione del Vayots Dzor: Areni – Caravanserraglio al passo Selim – Noravank
  • Regione del Siunyk: Cascate Shaki – Menir di Zorats Karer – Tatev

Suggerimenti di visita e bibliografici potete trovarli nel sito dell’Associazione Italia-Armenia.

In particolare ci hanno accompagnato due guide, le cui informazioni di sono integrate perfettamente e che consigliamo, quella di Lonely Planet e quella di Polaris.

 

 

 

Funkhaus a Berlino

Inutile negarlo. Quando si va a Berlino non si riesce a resistere alla tentazione di immaginarsi e respirare quella che è stata la città divisa. Se abbiamo già visto troppe volte il museo del muro o il Check Point Charlie, andiamo a cercare resti del muro che ancora ci permettono di circoscrivere le due zone.

Noi vi suggeriamo una visita alternativa a tutto questo. Un luogo magico e meraviglioso che ti cala nell’immaginario comune sulla vita severa e regimentata della Berlino divisa dal muro.

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L’area in cui sorge la Funkhaus si affaccia sulla Spree ed è un posto assolutamente magico. Era la sede della radio di Stato della DDR. Venne inaugurata nel 1955 e rimase attiva fino quasi alla caduta del muro nel 1990. Alle 23,45 del 2 ottobre 1990 si registrò l’ultima trasmissione che si dice fosse in italiano. Poi, l’attività di 3000 operatori della radio si interruppe come fosse una metafora del regime che si andava sgretolando.

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Era una vera città della Radio di 135.000 metri quadrati, con studi di registrazione edificati con grande sapienza tecnica. L’opera venne affidata all’architetto Franz Ehrlich, all’ingegnere capo Gerhard Probst e all’ingegnere acustico Lothar Keibs.

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Questa équipe di progettisti, estremamente qualificata, riuscì nell’intento di creare studi di elevata qualità con investimenti all’osso, grazie al loro ingegno e alla loro sapienza. Il suono veniva valorizzato e mai stravolto, grazie all’uso di forme e materiali che ne evitavano le distorsioni e ne accentuavano la profondità.

L’edificio contiene sale le cui pareti sono fornite di prismi rotanti rivestiti con diversi materiali, per affinare la ricezione sonora alle diverse esigenze della musica che viene prodotta. Oggi, in quelle stesse sale vengono realizzate registrazioni di orchestre sinfoniche, cori, musica da camera, oltre, naturalmente, jazz e pop.  Pensate che gli studios sono scelti da musicisti del calibro dei Black Eyed Peas e  di Sting.

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E’ possibile effettuare visite guidate per gruppi di un minimo di 10 persone. La visita ha una durata di circa un’ora e mezza. Per 19 Euro a persona (15 per studenti e pensionati).

Il sito vi fornirà tempestive informazioni anche su eventi e concerti.

 

 

Il Tabiat Bridge di Tehran, il ponte di Leila

C’è tanta cultura, tanto sogno, tanta immaginazione e coraggio in questo ponte innovativo il cui nome significa Natura e che collega due polmoni verdi (Abo-Atash e Taleghani Park), saltando con i suoi 270 metri un’arteria di grande comunicazione immancabilmente super trafficata.

Opera della giovane architetta Leila Araghian, quando ancora era 25enne, il progetto concepisce il ponte come luogo della vita e della socialità, oltre che naturalmente dell’unione e del confronto.

Non volevo fosse solo un ponte  di passaggio tra un parco e l’altro. Volevo che fosse un luogo dove la gente potesse sostare e riflettere.

Gli abitanti di Tehran lo vivono con entusiasmo grazie ai bar e ai ristoranti che trovano spazio nei tre piani di cui si compone, ma anche per merito della vista sulla metropoli e sui monti circostanti, delle comode panchine, opere di artisti, tutte diverse l’una dall’altra, e delle confortevoli pavimentazioni in legno. Oltre a numerosi gruppi di giovani amici, si vedono intere famiglie, con nonni e bambini, stendere una coperta per terra e fare un pic-nic (ordinatissimo, come abbiamo osservato ovunque), di giorno ma anche fino a tarda ora.

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Il dato più sorprendente, e che deve farci riflettere sulla complessa e contradditoria società iraniana, è la fiducia che è stata data a una professionista così giovane e per giunta donna. Leila Araghian vive in Canada, ma la possiamo senz’altro considerare rappresentante emblematica di quell’universo femminile che abbiamo riconosciuto anche nei nostri incontri come la parte più avanzata e consapevole del processo di modernizzazione. Il fatto che viva e lavori all’estero è il frutto delle sanzioni all’Iran: nonostante forse vincitrice di diversi premi, per anni non ha potuto partecipare a concorsi internazionali perche architetta iraniana.

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Il Tabiat Bridge si può raggiungere in taxi, naturalmente, oppure con il metro scendendo alla fermata Shahid Haqqani, per poi fare una breve passeggiata nel parco.

Come potete osservare anche da queste foto, il ponte dà il suo meglio nelle ore notturne, le più apprezzate anche dagli abitanti della capitale. E dalle turiste italiane 😉 La popolazione di Tehran è infatti molto legata a questo luogo e lo mostra con fierezza ai visitatori.

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Tehran Parkour

Avevo sentito parlare già prima di partire dei ragazzi del parkour di Tehran. Poi è stato un taxista colto, adorabile e depresso che mi ha indirizzato nella palestra urbana della metropoli, a Ekbatan.

Questo è il nome del grande quartiere residenziale progettato nel 1975 sul finire dell’era dello Scià con ingenti investimenti, un’opera che presenta grandi spunti di modernità e di innovazione.

In effetti, passeggiando tra le sue strade, il quartiere mi ricorda l’architettura sociale di cui abbiamo esempi anche a Milano, per esempio nel Quartiere Gallaratese a firma del grande maestro Carlo Aymonino in collaborazione con Aldo Rossi. Una modernissima concezione di edilizia popolare con spazi comuni destinati alla socialità e all’autosufficienza commerciale.

Nel 1979 la Repubblica Islamica nazionalizza le imprese costruttrici e porta a termine il progetto.

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Proprio qui ha sede il quartier generale degli atleti un po’ anarchici del parkour. Un altopiano di sabbia con tanti attrezzi costruiti dai ragazzi per i loro allenamenti. Una collina da cui si domina il quartiere, una casetta, in realtà una piccola baracca costruita con legni  diversi, che però stupisce per la cura e il senso estetico, dove si tengono le riunioni del gruppo.

I ragazzi mi accolgono come un ospite di riguardo, gentilissimi a dispetto del loro apparire rudi ed estremi. Si esibiscono per me, volteggiano agili e motivati, ne intuisco i leader, istruttori riconosciuti.

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“Quando pratichiamo il parkour rafforziamo la fiducia in noi stessi.” spiega Mohammad, “Qui nessuno impone nulla: è la bellezza della libertà che troviamo nel superare i limiti del pensiero. La città è il nostro luogo, gli ostacoli sono i trampolini, quando ti muovi connetti orizzonti diversi e te ne appropri.”

Ancora una volta non posso non pensare alla simbologia, alla metafora che in tutta evidenza ci parla di loro, di noi, di tutti. Ancora una volta sono le isole, gli arcipelaghi, i microcosmi di questa metropoli che si manifestano.

Parlando con questi ragazzi  si nota subito che non è il culto del corpo o l’edonismo la loro motivazione, ma semmai la ricerca della libertà e l’appropriazione in prima persona dello spazio comune.

La loro è una comunità in cui tutti sono interconnessi con i vari social. Sono in contatto con i loro simili di altre zone del mondo, per esempio con i ragazzi di Kabul che praticano il parkour sulle macerie della guerra. Mi mostrano le immagini di detriti usate come palestra: è come se l’energia vitale soffiasse via la morte sociale, la condanna cosmica della guerra.

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Ormai è sera, il buio avvolge la collina, altre sagome si uniscono al gruppo. Felpe più pesanti racchiudono i segreti dei partecipanti: anche la componente femminile pratica questo sport, naturalmente in modo clandestino. Le loro montagne da scalare sono ancora più alte, ma questo non è un problema, solo uno stimolo in più.

Ci lasciamo con grandi abbracci e con la promessa di tenerci in contatto. Spiriti liberi, avete la mia solidarietà e la mia amicizia: il genere umano è davvero meraviglioso.

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Hanna, un accogliente boutique hotel a Tehran

Ci siamo capitati per caso. Cercavamo un caffé di tendenza che ci avevano consigliato, e siamo capitati in questa piccola strada chiusa, Lolagar Alley, un’oasi di tranquillità nel caos di Tehran. Ai lati della strada edifici perfettamente simmetrici con due ampi bow-window aggettanti e imponenti. Da una parte l’insegna dal design sobrio e pulito di un hotel. Ci siamo incuriositi e abbiamo bussato.

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Così, siamo stati accolti con gentilezza e, con giusto orgoglio, ci è stato mostrato e raccontato con piacere questo delizioso hotel di sette stanze, ospitato in un edificio quasi secolare restaurato da poco.

Hotel Hanna - Kamar room
Stanza Kamar, cioè Arco

Lo studio di architettura che ha curato il progetto (Persian Garden Studio) è partito dalla storia dell’edificio. Nel 1930 i due fratelli Lolagar fecero costruire due edifici gemelli, uno dei primi esempi nella capitale di abitazione non protetta da mura e spazi chiusi, ma proiettata con ampie finestre verso l’esterno.

Lolagar Alley
Lolagar Alley

La ristrutturazione ha inteso trovare un equilibrio tra la tradizione persiana e la più moderna architettura iraniana. Ogni stanza è differente, ma tutte con un disegno fresco e pulito che le accomuna. Stoffe, oggetti, quadri alle pareti fanno riferimento da un lato alla cultura etnica, dall’altro all’arte contemporanea.

Hotel Hanna - Hamsayeh room
Stanza Hamsayeh, cioè Vicinato

Per la sua accoglienza e la sua atmosfera, l’Hotel Hanna ci è sembrato un ottimo posto dove stare a Teheran, magari arrivando prima di partire per un viaggio nel paese. I prezzi sono in linea con altri alberghi della città dello stesso livello.

Hotel Hanna - Ojagh room
Stanza Ojagh, cioè Cuore.

Abbiamo tentato di fermarci lì, prima di riprendere il volo per l’Italia, ma era Nowruz, il capodanno persiano, e tutte le sette stanze erano occupate. Ma contiamo di tornarci la prossima volta in Iran. E questa volta prenotando con anticipo.

Questo il link al sito dell’hotel.

Questo invece il link al post sull’inizio del nostro ultimo viaggio a Tehran.

 

I caffè di Tehran

Ci avevano detto: non potrete dire di conoscere  Tehran se non avrete frequentato i suoi caffè.

E quindi, in questo secondo viaggio, non ce li siamo fatti mancare. Abbiamo seguito i consigli di un giovane amico, Hajir, che dopo aver studiato e insegnato arte per un  periodo a Firenze, è tornato nella sua città.

Così, nel suo italiano pressoché perfetto, con forte accento fiorentino, ci ha elencato alcuni dei locali più di tendenza tra la gioventù colta, accogliente e raffinata di Teheran.

Naturalmente questi di cui parliamo sono solo alcuni, perché nell’immensità urbanistica della capitale iraniana ogni quartiere ha i suoi locali e inoltre ne nascono e fioriscono continuamente di nuovi. I caffè, infatti, sono un elemento vitale della città, sono il suo respiro, seguono il ritmo del suo cuore. Senza i caffè sarebbe più difficile parlare d’arte, far conoscere un libro, ascoltare un genere musicale, dibattere di politica interna e internazionale, trovare consolazione nella condizione comune di vittime della crisi economica.

Questi caffé uniscono la lunga tradizione delle teahouse persiane con le influenze dei locali occidentali. Nascono in genere come esigenza di piccoli gruppi che vogliono trovare spazi di aggregazione e di espressione, diventando presto luoghi di resistenza sociale: anche il loro design e le scelte architettoniche riflettono la voglia di creare nuove realtà non omologate.

Tehroon

Il Tehroon Cafè è uno dei più conosciuti della nuova generazione di locali: qualsiasi abitante del District 6, nella zona centrale, ti sa dire come raggiungerlo. Il suo nome è il nome antico di Tehran, con una vocale mutata che cambia completamente il suono della parola. Vuole forse richiamare alle glorie passate della capitale? Certo dà l’idea di una lunga tradizione di luoghi dove bere, assaporare il cibo e conversare.

Ho parlato di caffè come luogo d’incontro di giovani, ma il Theroon è soprattutto il caffè delle donne di tutte le età, che qui si trovano in un’atmosfera delicata e leggera, libere di essere persone che intrecciano relazioni e che elaborano idee.

Café Tehroon - Tehran, Iran

All’esterno un grazioso giardino fiorito allestito da tavoli: come molte abitazioni del District 6, il Tehroon si sviluppa infatti tra un cortile interno, che i muri proteggono dalla strada, e un corpo chiuso centrale.

Café Tehroon - Tehran, Iran - ph. Paolo Sacchi

Le pareti sono coperte da librerie, dove i testi dei poeti si alternano a letteratura contemporanea.

Café Tehroon - Tehran, Iran

Qui il cibo è ottimo, presentato in modo estetico e invitante, le ricette sono quelle classiche iraniane, ma sempre rivisitate e impreziosite. Anche una semplice colazione diventa occasione per gustare sapori imprevisti, dolci e salati.

Café Tehroon - Tehran, Iran

Cafè Tehroon – District 6 – N. 39, Khosro St., Villa St.

Karfe

Forse più di altri, il Karfe Cafè è un vero centro culturale. La cucina è decisamente apprezzabile, la ristrutturazione degli spazi piacevole, il giardino interno, tipico delle vecchie case di Tehran e abitato da una languida comunità di gatti, fresco e accogliente. Ma il principale motivo di attrazione del Karfe è certamente il clima intellettuale, nella migliore accezione del termine, che vi si respira.

Karfe Café - Tehran, Iran

Sarà che l’idea di questo caffè nasce tra un gruppo di artisti che volevano avere uno locale familiare e intimo dove lavorare, pensare, studiare. Sarà l’estrema vicinanza con il parco e la Casa degli Artisti, centro propulsivo per i giovani creativi. Sarà tutto questo, ma in questo caffè non c’è dubbio che l’atmosfera sia di pace, arte e cultura.

Qui vengono ospitati meeting e seminari di lavoro, incontri con gli autori, piccoli concerti. Non a caso noi, arrivati per un appuntamento con un amico, ci siamo trovati nel bel mezzo della presentazione del programma di una casa discografica.

Karfe Café - Tehran, Iran

E comunque abbiamo fatto un’ottima colazione.

Café Karfe – N. 17 Bizhan Torabi St. , vicino al Parco degli Artisti

In/ja

L’In/ja Book Café nasce come galleria d’arte e scuola di teatro, aperto da un giovane e famoso attore del cinema iraniano, Saber Abar. Ma anche questo è diventato presto uno spazio a tutto tondo, dove passare ore piacevoli leggendo, chiacchierando e gustando buon cibo fatto in casa. Noi siamo arrivati dopo l’ora di pranzo, perciò ci siamo ‘accontentati’ di un dolce alle mandorle, ma che ci ha lasciato a bocca aperta.

In/ja Book Café - Tehran, Iran

Per arrivare alla galleria e al caffè In/ja bisogna sapere dove si trova: è infatti solo una porticina, quasi senza alcuna insegna, in fondo a una strada chiusa. Per entrare bisogna bussare, come in una abitazione privata. Poi, dentro, una casa-galleria accogliente, arredata in uno stile eclettico, con molti spazi dove conversare o anche isolarsi con un libro.

In/ja Book Café - Tehran, Iran

Quindi il patio fiorito con diversi tavolini di varie dimensioni. In fondo al giardino si apre una serra dalle pareti in vetro dove si possono comprare piante e fiori recisi.

In/ja Book Café - Tehran, Iran - serra

In/ja Book Café – N.4 Pedram Alley/Nofel Loshato St.

Reera

Questo caffè si trova non lontano dalle ambasciate francese e italiana, perciò è frequentato da un pubblico decisamente cosmopolita. Si apre in una strada chiusa molto tranquilla, un mondo a parte rispetto alla Tehran più trafficata. Poco più in là si trova anche il grazioso Boutique Hotel Hanna, di cui parliamo in questo post.

Il locale è ospitato da un bell’edificio in mattoni, con un giardino raccolto, con piante fiorite e sculture in ferro. Il design degli spazi interni è moderno ed eclettico, con oggetti di modernariato interessanti e un clima davvero confortevole.

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Abbiamo apprezzato anche il cibo: zuppe e insalate deliziose, i centrifugati di frutta e verdura con abbinamenti inconsueti ma azzeccatissimi. Spesso vengono proposti piatti internazionali (per es. la nostra zuppa di cipolle era quasi parigina), con una notevole attenzione alla cucina vegetariana, che in Iran non è certo una cosa scontata.

Café Reera – N.5, Lolagar Alley

Gol Rezaeieh

Questo è il più antico dei locali che abbiamo visitato, con una storia lunga oltre novant’anni. Più che un caffè è un piccolo delizioso ristorante che presenta cibi della tradizione iraniana, con un menu molto vasto. E’ situato proprio di fronte al Museo del Vetro e della Ceramica, è sufficiente attraversare la strada. E’ anche molto vicino alla sinagoga: sì, perché a Tehran vivono circa 35 000 ebrei.

Ciò che caratterizza il Gol Rezaeieh è l’atmosfera, creata dalle luci calde e basse e da inumerevoli foto di musicisti e star del cinema alle pareti. Anche la scelta della colonna sonora non è banale: musica occidentale anni Ottanta, non così usuale nei locali pubblici di Tehran.

Gol Rezaeieh Café  e Restaurant -Tehran, Iran

Rush

Nella stessa strada del l Rush Café, a sua volta vicinissimo al Museo del Cinema, uno spazio espositivo di estremo interesse: il cinema iraniano ha una lunghissima tradizione, fin dagli albori di quest’arte, e ha avuto e ha tuttora grandi rappresentanti nella regia e nella recitazione.  Questo museo, situato in una pregevole dimora storica e circondato da un piacevolissimo giardino, merita certamente una visita.

Museo del Cinema - Tehran, Iran

Terminata la digressione, torno al caffè Rush che, a dispetto del nome, è il luogo ideale per una sosta tranquilla. Frequentato da attori e giovani filmaker, si trova al piano terra di un palazzo dedicato al cinema: al piano superiore si fanno eventi, proiezioni di film, si possono acquistare pellicole internazionali e altro materiale legato alla settima arte.

Rush Café - Tehran, Iran

Noi siamo stati all’interno, perché la giornata era piovosa, ma il caffè ha grandi vetrate affacciate su un giardino che prende vita con il bel tempo. Un posto tranquillo dove conversare e lavorare. Ma ormai avete capito che i caffè di Tehran sono ben altro che semplici caffè.

E anche qui cibo ottimo, come la nostra non banale insalata.

Rush Café - Tehran, Iran - Insalata

Rush Café –

 

 

 

 

 

 

 

 

Viaggio in Iran, partendo da Tehran

Tornare in Iran dopo quasi due anni è stata certamente una grande emozione. Si trattava di confermare o smentire le impressioni del viaggio precedente. Si trattava di vedere se quella piacevole sensazione di venire ben accolti e coccolati, di essere degli ospiti preziosi e desiderati si sarebbe ripetuta. E anche se avremmo apprezzato di nuovo la magia delle città già visitate, o se avremmo trovato quella stessa magia anche in zone non ancora esplorate.

Soprattutto avevamo voglia di ritornare per raccontare meglio e con più consapevolezza  alcuni tratti di un paese che, tra tanti, ci aveva colpito così nel profondo, tanto da lasciarci un mal d’Iran difficile da dimenticare.

Il metodo a liana

Metodo a liana: questa la definizione che abbiamo dato al nostro vagabondare nel paese. Incontri qualcuno, che ti fornisce un contatto, che ti racconta di un luogo, che ti suggerisce una visita. Da questo nuovo evento ne scaturisce un altro, perché si parla, si collega, ci si informa, si fanno nascere nuovi desideri di scoperta.

Perché, mai come in Iran, da un incontro, da un saluto, da un tè bevuto insieme può derivare una nuova indicazione per andare a conoscere altri luoghi e altre persone.

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E così è stato questa volta. Qualche contatto ereditato dal viaggio precedente, un po’ di ricerca in Internet, alcuni amici di amici iraniani che vivono in Italia: siamo partiti con qualche numero di telefono (che sia benedetto whatsapp!) che sono stati la base dei nostri primi incontri a Tehran. Questo il nostro incontro con Hoora, una giovane amica di un’amica.

Ma tranquilli: il metodo a liana in Iran funziona comunque, anche se non vi preparate. Questo è un paese dove l’ospitalità è sacra, dove è il padrone di casa, autenticamente onorato, a ringraziare l’ospite, dove l’orgoglio sano per le proprie radici e la propria cultura sopravvive nonostante le oggettive difficoltà. Quindi lungo il vostro cammino troverete in ogni caso qualcuno che farà da ponte per voi verso nuove tappe.

Si comincia da Tehran

Nonostante quello che dicono le cifre che si trovano in molte fonti (8 milioni di abitanti in città e 12 milioni nella conurbazione), i dati reali della Grande Tehran, che tutti quelli che ci abitano conoscono, parlano ormai di 15 milioni di persone. A cui si aggiungono ancora altri abitanti diurni, una folla di persone che abita ancora più all’esterno, ma che arriva per lavoro, per studio, per affari ogni giorno, utilizzando il treno, l’autobus, l’auto e anche l’aereo. Una città enorme, sovraffollata, trafficata. E, naturalmente, inquinata.

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Per gli occidentali è una tappa obbligata: quasi tutti i voli che ci collegano all’Iran atterrano in uno dei due aeroporti che si estendono alla periferia della città, il Khomeini, mentre l’altro, il Mehrabad, è riservato ai voli interni.

E’ anche praticamente obbligata la sosta di almeno una notte nella città, perché per ottenere il visto è necessario fornire l’indirizzo di un albergo.

Sia la prima volta sia la seconda abbiamo prenotato per la notte del nostro arrivo la camera in un hotel onesto, il Golestan hotel,  centrale e accogliente, anche se forse le camere sono un po’ troppo essenziali, comunque pulite e con il bagno in camera. La colazione è molto piacevole, preparata al momento nel barettino con giardino interno.

DSCF0216xwsUn buon modo per cominciare il viaggio in Iran, anche perché si è a due passi, reali, da una fermata della metropolitana e, inoltre, da uno dei più vasti parchi cittadini e dal Palazzo Golestan, la maggiore testimonianza architettonica della città. E anche da uno dei due grandi bazaar.

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Ma certo il Golestan hotel non è l’unica possibilità: potete immaginare quanta scelta di accoglienza alberghiera può offrire una città come Tehran. Abbiamo vissuto due altre esperienze, all’opposto, si può dire, ma entrambe assolutamente consigliabili: dipende da che cosa richiedete da una notte in albergo.

L’hotel Hanna è un boutique hotel, piccolo, raffinato, situato in una strada chiusa, quindi con una situazione di tranquillità quasi unica a Tehran. In questo post potete avere maggiori indicazioni e vedere le foto che abbiamo fatto alle diverse stanze.

See you in Iran è invece un ostello, il classico ostello per giovani come si può trovare in moltissime città europee, ma che in Iran è certamente più sorprendente. In questo ostello si respira un’aria colta e cosmopolita. Le camere sono spartane, ovviamente: noi abbiamo avuto una stanza con letti a castello che ci ha portato indietro di qualche decennio.

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Ma tutto pulitissimo, con scelte intelligenti e messaggi carini alle pareti. Anche in questo caso, colazione più che soddisfacente nella piacevole area comune. Questo il loro sito: visitate anche le pagine degli altri ostelli della piccola catena, uno sul Caspio e uno a Mashad, seconda città dell’Iran, sono sistemazioni molto interessanti e decisamente particolari.

Se you in Iran ha anche un gruppo Facebook, See you in Iran Cultural House, di cui io facevo già parte da prima del viaggio precedente, su suggerimento dell’inquilino iraniano nella casa di mia madre. E’ un gruppo aperto e democratico, dove chiunque può comunicare, scrivere le sue impressioni o chiedere consigli per il suo viaggio in Iran. E’ utile visitarlo prima della partenza, si cominciano a conoscere molti aspetti del Paese. Comunque mi ha emozionato arrivare, per caso, nella sede centrale del gruppo. Ma, si sa, io mi commuovo facilmente.

Che cosa vedere a Tehran

Viste le dimensioni e il caos urbano, la maggior parte dei turisti resta nella capitale il meno possibile, giusto il tempo di visitare, appunto, lo splendido Palazzo Golestan, sito del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, o Sa’dabad, una serie di palazzi immersi in un grande parco, residenza estiva dello scià e della sua corte, e dopo la rivoluzione trasformato in un complesso museale. O Niyavaran, altra residenza imperiale, circondata da cinque ettari di giardini, che ora ospita cinque differenti musei.

Magari, al termine del viaggio,  ci si ferma a Teheran una giornata per vivere l’emozione di fare acquisti nei due principali bazaar, lo storico Tajrish o l’immenso Grand Bazaar.

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E invece… e invece Tehran può riservare diverse sorprese e può costituire una parte importante del viaggio in Iran.

Oltre alle grandi raccolte d’arte antica o moderna, come il ricco Museo Reza Abbasi, il Museo dei Tappeti o il Museo d’Arte Contemporanea, voluto e inaugurato da Farah Diba, moglie dello scià, Tehran ospita numerosi musei minori, ma curati e di grande interesse. Noi ne abbiamo visitati alcuni, consigliati e guidati da artisti e scrittori che abbiamo incontrato.

Museo del Vetro e della Ceramica

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Il Museo del Vetro e della Ceramica (Glassware and Ceramic Museum of Iran o Museo Abgineh) è ospitato in un prezioso edificio storico, che era la casa di Qavam os-Saltaneh, primo ministro iraniano negli anni ’40. Anche solo una visita al palazzo è degna di nota: unisce in modo armonico elementi orientali ad altri occidentali, bellissima la scalinata in legno.

scalaGli oggetti esposti, di varie epoche, alcuni antichissimi, sono di grande interesse storico, ma anche conoscendo poco la storia della Persia si resta stupiti per la raffinatezza delle lavorazioni e il livello estetico dei disegni. Visitandolo ho pensato a quanto piacerebbe alla mia amica Silvia Levenson, talentuosa artista del vetro. Piccolo, prezioso. Consigliatissimo.

Museo della Calligrafia

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E’ il museo più recente, inaugurato nel 2017.  La TBO è un’associazione il cui nome può essere tradotto con “Rendere bella Tehran“; acquista edifici di alto valore architettonico e culturale, emblematici per la città, e li ristruttura restituendoli ai cittadini. Anche il palazzo che ospita il Museo della Calligrafia, un tempo abitazione di un importante senatore dell’epoca dello scià, è stato ottimamente restaurato dalla TBO e adibito a spazio espositivo permanente.

DSCF1243 okBisogna tener presente che la calligrafia persiana è una vera forma d’arte, elemento mistico fondamentale della cultura islamica. Anche se la maggior parte delle opere esposte (su carta, pergamena, ceramica, legno, gioielli e altri supporti) proviene da poche grandi collezioni, sono molti gli artisti contemporanei che continuano a utilizzare la calligrafia all’interno dei loro lavori. Non aspettatevi quindi un museo che raccoglie estetizzanti scritte in persiano, ma una vera raccolta di opere a volte davvero sorpendenti. E alla fine della visita non perdetevi lo store del museo, con una vasta proposta di gioielli e oggetti per la casa prodotti da giovani designer, sempre liberamente ispirati al tema della calligrafia.

La Casa degli Artisti

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Nel cuore del District 6, la Casa degli Artisti è un bell’edificio che si erge al centro di un piccolo parco quadrato che porta lo stesso nome. Otto spazi espositivi su due livelli ospitano mostre che cambiano ogni mese. Pittura, scultura, fotografia, moltissima grafica (abbiamo visto bellissime locandine di cinema e teatro), nuove tecnologie: tutte le tecniche artistiche sono rappresentate e viene dato amplissimo spazio alle produzioni dei giovani artisti.

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Nell’edificio convivono poi alcuni negozi, tra cui uno, fornitissimo, di musica, un caffè con tavolini all’aperto e un ristorante vegetariano che ci dicono ottimo, ma che era chiuso per lavori quando siamo passati.

Ecco un elenco dei palazzi e musei citati nel post, certamente sufficienti per farsi un buon quadro dell’arte persiana:

  • Palazzo Golestan
  • Complesso di Sa’dabad
  • Complesso di Niyaravan
  • Reza Abbasi Museum
  • Museo del Tappeto
  • Museo d’Arte Contemporanea
  • Museo del Vetro e della Ceramica
  • Museo della Calligrafia
  • Casa degli Artisti

 

Continuiamo a parlare di Tehran nei prossimi post.